ALLA SCOPERTA  DI  GIAVA,  SULAWESI  E  BALI   

GIAVA con guida locale PRAPTI

 

Questo viaggio nacque in modo del tutto particolare: dovevamo partire per Sud Africa, ma già a fine febbraio era tardi per le prenotazioni di gruppo e non era possibile garantire i voli e la sistemazione nel lodge desiderata.  Quindi abbiamo deciso di cambiare destinazine: mi ricordo ancora la presentazione del scorso marzo, accompagnata da un po’ di delusione. Qualche sera dopo, arrivò una telefonata da parte dei potenziali partecipanti riunitisi in casa di Sergio, con la proposta di un viaggio in Indonesia. L’operativo della Geaway si è messo subito alla ricerca dei voli, degli alberghi e delle guide. Non era facile perché in Indonesia l’estate è altissima stagione, ma ai primi di aprile abbiamo sistemato tutto.

17 agosto, giovedì. Ed eccoci pronti a partire. Sono le nove di mattina in punto, siamo in ventidue al check in di Emirates all’aeroporto di Malpensa; l’ultima partecipante, Laura, ci aspetterà a Singapore.  Il desiderio era prendere il volo della Singapore airlines, per evitare la procedura d’immigrazione e consecutivo ritiro bagagli al grande aeroporto di Shanghi , ma non c’erano posti disponibili.  Anche il nostro volo è pieno zeppo… quindi, partiamo per Singapore via Dubai.

18 agosto, venerdì. Atterriamo a Singapore e prima facciamo una lunga coda per fare l’immigrazione, in più salta fuori qualche disagio con le impronte digitali non leggibili e successive verifiche di documenti. Il problema sta nel fatto che abbiamo poco tempo a disposizione per imbarcarci sul volo per Yogyakarta, la capitale culturale dell’isola. Per fortuna al banco dell’Air Asia, una low cost che è unica a volare da Singapore a Jogyakarta,  ci aspetta Laura, arrivata dall’Australia che ha spiegato agli impiegati del tutte le problematiche che abbiamo incontrato. Siamo in ritardo, ma grazie a lei, ci aspettano ed in un lampo tutto il gruppo e tutti i bagagli sono a bordo. Finalmente, dopo tantissime ore di volo (meglio non contare) siamo atterrati a Giava, la più popolosa dalle 17000 isole Indonesiane. L’aeroporto di Jogya è vecchio e piccolo, ma facciamo i disbrighi doganali  in fretta. Ci attende il bus con la guida Prapti, una signora di origini balinesi. Subito andiamo a pranzare in una caratteristica locanda che si chiama Prambanan gallery, dove ci aspetta un buon buffet con i cibi locali. In seguito visitiamo il complesso dei templi induisti di Prambanan, una delle tante meraviglie dell’isola. Ammiriamo il tempio principale dedicato al dio Shiva, con pregiati bassorilievi che riportano le storie di Rama, Sinta e Hanuman narrate nel libro di Ramayana, importantissima saga epica delle culture indù. L’architettura ricorda quella dei celebri templi cambogiani di Angkor. Dopo la visita accurata del tempio più importante, abbiamo un po’ di tempo libero per curiosare nel sito che custodisce tanti altri tesori più piccoli. Alla fine prendiamo il trenino e ci spostiamo verso il vicino Candy Sewu, famoso per le figure dei guardiani che sorvegliano gli ingressi. A conclusione delle visite siamo tutti stanchissimi. Ci aspetta un po’ di strada per raggiungere il nostro albergo che non è lontano. Nonostante i chilometri non siano tanti, si viaggia molto lentamente perché il traffico sull’isola è incredibilmente intenso. Con oltre 165.000.000 di abitanti su un territorio che è un terzo dell’Italia, l’isola di Giava è uno dei territori più densamente popolati del mondo. Per arrivare al nostro Borobodur Heritage Hotel dobbiamo scendere dal pullman e prendere pullmini. Ceniamo, mentre i facchini recapitano i bagagli nelle stanze. L’albergo è splendido, una vera reggia immersa nel verdo con raffinati mobili e personale gentilissimo. Dopo la cena alcuni di non fanno un tufo in piscina, mentre altri preferiscono fare due passi nel magnifico giardino nel quale ha luogo una scenografica fiaccolata. Rientrata dalla piscina trovo Renato alla reception: nella loro stanza manca la valigia di sua moglie. Hanno già provato a controllare tutte le stanze del nostro gruppo, il pulmino che trasportava le valigie e tutti gli spazi della hall… La valigia sembra sparita nel nulla e si apre un vero giallo: siamo state io e la responsabile della reception a mettere i numeri delle stanze sui bagagli, il numero totale corrispondeva e non riusciamo a capire come mai non si trovi. Alla fine, dopo ripetuti tentativi gentili, “intimiamo” i ragazzi della reception di andare a controllare anche le stanze vuote del piano su cui è sistemato il gruppo, e la valigia finalmente salta fuori.  E’ tardi, sono già le undici passate, siamo in pista da ieri mattina, ovvero da più di 30 ore reali, calcolando il fuso orario. Domani ci aspetta l’alba al tempio di Borobodur.

19. agosto, sabato.  La sveglia è molto presto. Lasciamo le valigie fuori dalla porta delle stanze che ci raggiungeranno dopo la visita al tempio. Speriamo che nessuna si perda.  Camminiamo nel buio assoluto rischiarato dalla flebile luce dei telefonini e delle torce, avvicinandoci alla maestosa sagoma nera del tempio buddhista di Borobodur, una meraviglia architettonica nel cuore della giungla giavanese. Iniziamo la salita ammirando i bassorilievi in cui sono narrate le scene della vita di Buddha, che possiamo vedere solo nella fioca luce della grande torcia di Prapti. Ci spiega il significato di salita: è un percorso dell’ascesi. Mentre osserviamo i bassorilievi la luce del giorno avanza. Siamo giunti alla terrazza principale del tempio poco prima del momento in cui dovrebbe sorgere il sole. C’è tanta gente, tutti aspettano l’apparizione della sfera arancione. Alcuni dicono che da una settimana il sole “non sorgeva”, era tropo nuvolo. Anche oggi la giornata non è limpidissima, c’è tanta foschia, ma la nostra buona fortuna non ci abbandona nemmeno questa volta:  vediamo il disco infuocato levarsi pian piano sopra la giungla, tra tante statue di Buddha. La levataccia ci ha permesso di assistere ad un spettacolo indimenticabile, che ripaga tutta la fatica delle ultime ore. Scesi dal tempio ci viene offerta una buona colazione con biscotti e té, perfino ci regalano una sciarpetta ricordo. E’ la volta di proseguire per visitare il palazzo del Sultano della città di Surakarta, il cui nome significa la città guerriera e in seguito due templi situati in montagna, Candy Cetoh e Candy Sukuh.  abbiamo gia capito che Candy significa tempio. La strada è trafficatissima, quindi decidiamo di rimandare la visita al palazzo del sultano per il pomeriggio. Attraversiamo verdissimi monti coperti con dalle piantagioni di tè. Ci fermiamo perché nostro pullman non può proseguire in quanto la strada sta diventando sempre più stretta: ci spostiamo su due pullmini che ci porteranno verso il primo tempio. Candy Cetoh  è situato a 1200 m di altitudine, sotto il vulcano Lawu, che riusciamo solo intravedere, perché il cielo sopra questa isola purtroppo molto inquinata non è per niente limpido. E’ una zona amata dall’ ex-dittatore Suharto, che qui costruì alcune residenze di vacanza. I pullmini statali di linea che abbiamo dovuto prendere sono vecchi e fatiscenti, nonostante la nuova vernice applicata recentemente. Si surriscaldano velocemente e arrancano sulla ripida strada con sbuffi e fatica: sembra che non siano stati controllati da un meccanico da tempi bibblici. Per fortuna arriviamo alla meta sani, salvi e volonterosi di iniziare le visite. Gli inservienti del Candy Cetoh ci vestono con sarong, una specie di gonna, a quadrati bianchi e neri e cosi agghindati ci inoltriamo nel sito, frequentato tuttora da hindù giavanesi. Gli hindù rappresentano una minoranza religiosa di questa isola, dove la maggioranza è musulmana mentre gli hindù indobnesiani sono  concentrata sulla isola di Bali. Il complesso è molto bello, adorno di particolari porte in pietra che sembrano ali e piccoli padiglioni abelliti da elaborate decorazioni. Dopo la visita risaliamo sui pulmini e scendiamo verso il secondo tempio. Di dimensioni modeste, Candy Sukuh si annovera tra i più enigmatici templi di questa area geografica. Lo stile architettonico appare più vicino ai templi centroamericani che a quelli asiatici con la statuaria originalissima che presenta gli elementi iconografici dove si mescolano le divinità indù con tanti simboli erotici appartenenti ad un culto della fertilità preesistente all’arrivo delle grandi religioni induista e buddhista. Il tempo è un po’ nuvoloso, ma per fortuna prendiamo solo qualche gocciolina di pioggia. Segue il pranzo presso l’hotel-ristorante Jawa dwipa, situato in una bella posizione tra le montagne di origine vulcanica, con una grande piscina che sui bordi ha le sculture dei draghi di Komodo. Peccato che non abbiamo tempo di sfruttarla. Sul viaggio di rientro ci fermiamo al palazzo di Surakarta, ma non vediamo la sua splendia esposizione di vestiti, armi e gioielli perche chiusa di pomeriggio. Stamattina non potevamo fermarci, perché rischiavamo a non poter visitare ben più interessanti templi, anch’essi con orari di apertura mattinieri. Java sembra un’isola da visitare in elicottero, tanto è allucinante il traffico stradale. Ci consola il fatto che domani visiteremo il palazzo del Sultano di Jogyakarta con architettura e collezioni simili. Per oggi sarà già un ottimo risultato se riusciremo ad arrivare allo spettacolo di danza presso il teatro Parawisata a Jogya. Durante il trasferimento Prapti ci racconta la storia dell’isola, ci spiega il significato delle danze che andremo a vedere, ci parla delle usanze e della vita quotidiana. Essendo arrivati in tempo stiamo aspettando un altro gruppo che ha prenotato lo spettacolo: ma ci va bene perché abbiamo tempo di cenare in pace. Le pietanze del buffet sono davvero tante e tutte molto buone. Anche l’affascinante balletto di Ramayana che mima la lotta tra bene e male e la vittoria finale dell’amore di Sinta e Rama ci piace molto: i ballerini si esprimono con maestria acrobatica e squisita raffinatezza dei movimenti, sono altrettanto belli e ricercati costumi, trucco, maschere e acconciature. Finalmente arriviamo nel nostro hotel Sofitel Phoenix, una struttura centrale che appare molto elegante e raffinata, ma per essere sinceri bisogna ammettere che necessita una ristruturazione. Fa niente, anche così conserva il fascino di un gran albergo coloniale, e la cosa più importante che nonostante qualche ammacatura dei arredi e muri troviamo le stanze spaziose e pulite. E’ tardi, speriamo di riposare bene perché anche la domenica sarà molto impegnativa.

20. agosto, domenica. Con noi c’e don Franco, che inizierà la domenica con la Santa Messa nella Gereja Katolik Santo Albertus Agung ovvero la chiesa di San Alberto Magno. E’ vicina al nostro hotel e andiamo a piedi ammirando la vivacissima vita sulle strade della città. Ci accoglie un giovane prete che ci porta ad un angolo tranquillo in giardino retrostante alla chiesa, nella quale si celebra la Messa ordinaria. Torniamo in albergo per la colazione, carichiamo i bagagli sul pullman e iniziamo la nostra visita di Jogyakarta, la capitale storica e culturale di Giava.  Prima ci rechiamo allo studio di un importante pittore che realizza i quadri con la tradizionale tecnica batik. Assistiamo alla “nascita” dei coloratissimi e elaboratissimi disegni creati con tanta pazienza e maestria. Vengono effetuati in più riprese: perottenere ogni singolo colore il resto del tessuto viene coperto con la cera, tirato fuori, asciugato, e in seguito ricoperto di cera per ottenere un altro colore… e cosi via per 3 o 4, ma anche per più di 20 volte… ovviamente i più pregiati sono i dipinti con più colori. Sono davvero belli, diversi da quello che noi intendiamo per batik. Ovviamente, alcuni di noi comprano qualche quadretto come souvenir. Proseguiamo in tipico triciclo becak attraversando il caratteristico Kauman village per entrare nella zona di Kraton, ovvero il quartiere che ospita il palazzo del Sultano di Jogyakarta, tuttora abitato. Qui assistiamo ad un concerto di gamelan, la tipica orchestra composta di sole percussioni di tutti  tipi e dimensioni, accompagnato da un spettacolo di danza, sempre tratta da Ramayana. Una guida interna al Palazzo ci spiega la storia del Sultanato e ci mostra diversi padiglioni dove sono esposti oggetti appartenenti alla famiglia regnante: sonno molto belli gli abiti di corte, lavorati con la tecnica del microbatik, composto da minuscoli e accurati disegni, sono interessanti anche il reparto con i copricapi, le armi e i vecchi documenti.  Alcuni padiglioni sono in restauro, tra essi anche il più importante joglo, la tradizionale casa giavanese, con tetto a piramide con due punte, detto Padiglione d’oro, che serviva come sala dell’udienza. L’insieme degli edifici e giardini è imponente e architettonicamente interessantissimo,  purtroppo un po’ trasandato per i nostri standard. Rimaniamo sorpresi dal elevato numero della servitù del palazzo, tutti in divisa ed orgogliosi del loro servizio, pagato pochissimo. In seguito proseguiamo verso Taman Sari, il Palazzo dell’acqua, una specie di palazzo-giardino estivo, anch’esso appartenente al complesso di Kraton. Anche questo complesso è molto particolare e suggestivo, però anche qui ci vorrebbe un buon restauro. Bisogna dire la verità, cioé che il clima caldo umido in concomitanza con l’inquinamento fanno sì che i monumenti necessitano una cura permanente rendendo la manutenzione difficoltosa e costosa. Alla fine attraversiamo a piedi i quartieri residenziali della città vecchia, con negozi che vendono pregiate e costose marionette in pelle di bufalo e altrettanto cari e elaborati tradizionali coltelli kris. Ovviamente, ci sono anche calamite, cartoline e souvenir di poche rupie. Infine arriviamo al famoso e elegante ristorante Balé Raos che serve i piatti preferiti del sultano. Nonostante ottime recensioni, alta reputazione e prezzi salati, il cibo non ci piace moltissimo, si mangia meno bene che nei altri posti dove abbiamo mangiato. In seguito facciamo una breve visita a una fabbrica di batik stampato artigianale, e poi partiamo verso l’aeroporto. Facciamo check in seguito da un accurato controllo delle valigie; ci sequestrano i prodotti antizanzare e insetticidi chimici, vietati dalla compagnia indonesiana Garuda Air. Proteste non servono a niente, non possono essere portati a bordo per la salvaguardia della natura. L’aeroporto è vecchio e pieno di gente, non c’è un bar decente per prendere qualcosa, facciamo fatica a trovare posti dove sedersi nell’affollatissima sala d’attesa. Come ciliegina sulla torta, il nostro volo è in ritardo.  Ma sappiamo già che per visitare luoghi particolari ci vuole una buona dose di pazienza, e quando siamo finalmente in volo, ci rilassiamo.  Siamo comunque più che contenti. ci aspetta un altra isola, Sulawesi, una tra le più curiose al mondo.