23 ottobre. Ci troviamo alla sera all’aeroporto di Malpensa: oltre agli amici di vecchia data ci sono alcune persone che viaggiano con Geaway per la prima volta. Il volo è pieno, per fortuna – trattandosi del volo notturno – i nostri posti riservati sono tutti vicini. Dopo le solite procedure: bagagli, check-in, controlli, siamo finalmente in volo della Oman Air. I sedili sono comodi e larghi e corridoi un po’ stretti.  Aspettiamo la cena, e poi cerchiamo di dormire un po’.  Alle prime luci dell’alba saremo a Muscat.

24 ottobre. Il volo è arrivato in orario, e dopo aver fatto i nostri visti abbastanza in fretta, usciamo per incontrare la nostra guida Abdul Aziz che ci aspetta. Il significato di questo nome arabo è “servo dell’Onnipotente”. Lui è egiziano, i genitori erano insegnanti in Oman nei tempi (alcuni decenni fa) quando il sultano Qaboos aveva iniziato a costruire le scuole, allora letteralmente inesistenti. Qābūs bin Saʿīd Āl Saʿīd, nato nel 1940, scomparso recentemente, nel  2020. E’ stato sultano per 50 anni, dopo aver rovesciato suo padre, Saʿīd bin Taymūr, con un colpo di Stato nel 1970. Educato in Inghilterra, si adoperò nel processo di modernizzazione del paese attuando una politica di riforme. Ci trasferiamo al nostro hotel: fa parte della catena Ramada, ed è ubicato in un bel quartiere residenziale, pieno di ambasciate. E’ vicino al mare. Facciamo la colazione e poi andiamo alle stanze per riposare, perché l’inizio delle visite è previsto nel pomeriggio. Dopo un’ora, la maggior parte del gruppo si ritrova alla vicina spiaggia, per fare una passeggiata e raccogliere le conchiglie.  Alcuni perfino fanno il bagno… sappiamo tutti che tra di noi c’è chi non resiste al richiamo del mare. Segue un ottimo pranzo e alle due e mezzo siamo tutti in pullman, pronti per esplorare Muscat. Attraversiamo diversi quartieri della città, ci fermiamo per immortalare con le nostre macchine fotografiche due celeberrimi forti portoghesi: Jalali e Mirani. Subito dopo ci rechiamo al museo Bait al Zubair che mette in mostra gli oggetti che illustrano la storia omanita, e alla fine andiamo ad ammirare l’esterno del particolarissimo e curatissimo palazzo reale Al Alam.

La sosta al mercato di Muttrah è oltre lo shopping anche una visita culturale: facciamo primi acquisti, seguiti dalla visita dell’esterno della stupenda Opera House, illuminata, voluta da Sultano, grande amante dell’opera, teatro e cultura in generale. E’ già la sera e sul piazzale davanti al edificio del Opera si svolge un concerto di alcuni famosi cantanti folk arabi.  Facciamo amicizie con gli artisti e con i locali che ci invitano di rimanere, ma abbiamo tempo contato perché dobbiamo ancora cenare. Per la cena siamo al Turkish diwan, ristorante dove ci servono diversi tipi di carne alla griglia e delle ottime cernie. Sarebbe bastato e avanzato se ci davano metà delle porzioni. Manca solo il vino che qui non servono. Si fa tardi, come sempre quando si è in viaggio: bisogna tornare al albergo.

25 ottobre. Iniziamo la giornata con un ottima colazione, carichiamo le valigie sul pullman e andiamo a visitare La Grande Moschea di Sultan Qaboos, inaugurata nel 2001. E’ una costruzione immensa di 40.000 m2 di superficie, tutta in pregiatissimi marmi. Stranamente, nonostante tutta questa ricchezza dei materiali utilizzati, l’edificio non risulta “sfarzoso”. I custodi della Moschea principale della città controllano l’abbigliamento molto rigorosamente – Giuditta perfino deve acquistare un abito “in regola”: per le donne capo coperto, maniche fino ai polsi e abito lungo fino a terra, per gli uomini pantaloni lunghi. Non bisogna aggiungere che tutti entriamo scalzi. Ci accoglie un splendido parco fiorito, il cielo azzurro che si specchia nel pavimento di marmo bianchissimo, le decorazioni delle nicchie laterali di colori delicati… Stupenda è la sala di preghiera maschile: dal soffitto pende un lampadario Swarovsky con un diametro di 14 m, si calpesta un tappeto di 70 x 60 m, con 1.700 milioni di nodi: a farlo sono state coinvolte 600 tessitrici dalla provincia di Khorasan in Iran. Nonostante l’aspetto moderno dell’Oman, il paese resta tuttora profondamente tradizionalista. La maggior parte degli omaniti sono musulmani della setta ibadita, uno dei più precoci movimenti fondamentalisti dell’islam, che si distingue per la sua dottrina conservatrice e il sistema di potere ereditario. Gli ibaditi sono l’unico ramo oggi esistente dei kharigiti, costituisce una “terza via” tra sunniti e sciiti, le cui origini risalgono ai primi tempi dell’Islam. Oltre nel Sultanato dell’Oman, alcune piccole comunità si trovano a Zanzibar e in alcune regioni dell’Algeria (Mzab), della Tunisia (isola di Gerba) e della Libia (Gebel Nefusa e Zuara). Nostro Aziz ci spiega come pregano mussulmani: tutti mettiamo insegnamento in pratica, facendo le prove.

Finita la visita della Moschea, proseguiamo verso Bimmah Sinkhole, dove andremo visitare una famosa dolina carsica, larga oltre 40 m. Una brutta scala in cemento ci fa scendere fino al livello dell’acqua cristallina, color verde smeraldo, piena di pesciolini addetti alla pedicure dei turisti. E’ freschissima e il luogo è incantevole: abbiamo fortuna che non è affollato. Proseguiamo fino a Wadi Shab Resort dove ci aspetta il pranzo. Il ristorante si trova sulla riva del mare e quindi approfittiamo di un bagno. Scattiamo qualche foto della nostra bella spiaggia, qualche foto di Wadi Shab, sovrastato (e deturpato) da un ponte. In lontananza si vedono le rovine di antica città di Qalhat, ora in restauro, con la tomba di Bibi Maryam, una principessa locale. Proseguiamo verso Wadi Tiwi, dove facciamo una lunga passeggiata: Antonio e Bruna stanno cercando di scambiare due parole con dei abitanti della zona, e tra il linguaggio di segni e sorrisi riescono ad intendersi. Passeggiando ammiriamo un corso d’acqua incastonato tra enormi massi bianchi e l’adiacente sistema di irrigazione che serpeggia in mezzo dei bananeti. Ci sono molte piante di frutto e diversi fiori che non conosciamo: Riccardo coglie un bellissimo fiore che il “botanico” Terenzio cerca di riconoscere, ma senza successo. In tal punto interviene Aziz spiegando che è velenoso; quindi nostri due gentiluomini cambiano genere e regalano alle loro rispettive signore Graziella e Angela due piccolissime angurie, anch’esse appartenenti ad una specie mai vista prima … Ci piacerebbe rimanere ancora presso il paradisiaco wadi, ma dobbiamo partire per arrivare presto alla cena. La ragione è che subito dopo andremo a visitare il Centro di protezione e di nidificazione delle tartarughe marine a Ras al Jinz, una visita che abbiamo aggiunto all’ultimo momento. L’albergo Sur Plaza ci offre un buffet spettacolare, con carne cotta alla brace al momento e tantissime pietanze a base di verdura che la accompagnano, tutte da provare.

Non possiamo esagerare: ci aspettano tartarughe. Arrivati alla riserva naturalistica di Ras al Jinz, dobbiamo aspettare un bel po’ nella reception dove è allestita una piccola mostra che racconta questi splendidi animali. Le tartarughe purtroppo non si erano viste nei giorni precedenti, ma dopo più di un’ora d’attesa arriva la notizia che sono approdate alla spiaggia: in caso contrario saremmo tornati all’albergo senza averle viste. Fortuna audaces iuvat, a confermare che tutti i nostri viaggi sono stati sempre favoriti da questa dea dagli occhi bendati.  La visita è costituita da un “safari” sulla spiaggia. Saliamo sui veicoli 4×4 accompagnati dai ranger della riserva e ci avviciniamo alla spiaggia. Ci invitano a scendere e a camminare in silenzio assoluto e senza luce, divisi in tre piccoli gruppi. Ci portano verso enormi buche dove ogni anno migliaia di tartarughe tornano a deporre le uova, guidate dalla nostalgia istintiva: tornano solo perché ci sono state nate. L’emozione che si prova a vederle è difficilissima da descrivere a parole: affaticate e tenaci rappresentano una bella immagine di maternità. Camminando nel buio Giulia è scivolata in una buca e si è fatta male al polso, per fortuna nel mio pronto soccorso ci sono la pomata e le polsiere che servono per alleviare il dolore e immobilizzare la mano: raccomandiamo a Giacomo di curarla come si deve, senza farle fare le valigie, che per domani vanno organizzate in maniera particolare. Torniamo in albergo che la mezzanotte è passata da più di un’ora. Stanchi, ma molto felici: la esperienza delle tartarughe è stata commovente.

26 ottobre. Dopo la buonissima colazione lasciamo l’albergo con i bagagli divisi in due gruppi: il “grosso” viaggerà in pullman fino a Nizwa, mentre il minimo necessario per una notte andrà con noi nel deserto. Iniziamo a visitare Sur, una splendida cittadina sul mare. Prima ci addentriamo al mercato del pesce, poi curiosiamo tra le navi esposte nella sezione al aperto del Museo navale, dove catturano la nostra attenzione diversi tipi di dhow, le famose imbarcazioni omanite prodotte  rigorosamente a mano. Segue una sosta alla piazza principale che si affaccia all’antico porto.

Alla fine andiamo a visitare un cantiere dove tuttora producono dhow”. Il dhow tradizionale e di solito in legno di teak, ma talvolta si costruisce anche in leggerissimo legno di mangrovia. E’ a vela latina triangolare, che permetteva di navigare di bolina, controvento. Normalmente ha uno o due alberi, secondo il tonnellaggio, inclinati verso la prua. Prua è leggerissima e appuntita, invece la poppa e quadrata e robusta. La vela è in pesante cotone grezzo, le cime di dura canapa, il fasciame veniva connesso tramite legature in fibra di cocco e impermeabilizzato con diverse mani di olio di pescecane e resina. Tutto lo scafo era costruito senza l’uso di chiodi di ferro; eventualmente si usavano quelli di legno: legature vere sono proprio le “cuciture” in fibra di cocco. La cucitura dava maggior garanzia di elasticità e robustezza rispetto a una chiodatura rozza; inoltre con questo sistema era più semplice provvedere ad una riparazione di fortuna. Gli Europei, abituati alla chiodatura, guardavano queste imbarcazioni con sospetto: Marco Polo riteneva che “non fosse di poco rischio navigare su queste barche”, Vasco da Gama le considerava “mal costruite e fragili”. Ma in realtà sono solo apparentemente fragili, sono agilissime e manovrabilissime, apprezzate oramai in tutto il mondo… Nella fabbrica possiamo ammirare da vivo la costruzione di un’esemplare di dhow: tutto in legno, compresi i chiodi è di una linea bellissima ed è – ovviamente – molto costoso, perché fatto interamente a mano, da mano d’opera straniera, che costa molto meno di quella locale. E’ una storia che si ripete in tutto il mondo – gli immigrati – in questo caso pakistani, afgani e indiani – spesso portano sulle proprie spalle l’economia dei paesi ospiti, senza essere considerati come meritano per il loro ruolo. Saliamo sul pullman solo per raggiungere i nostri 4×4, portando con se solo il necessario dei bagagli per passare la notte nel campo tendato.  Ma prima di addentrarsi nel deserto i nostri autisti ci portano a Wadi Bani Khalid, dove scendiamo per ammirare lo splendido connubio tra natura e ingegno umano: gli aflaj. Si percorre un piccolo sentiero di pietra in mezzo di un palmeto, che costeggia l’acqua affiancato da immancabile falaj (in plurale aflaj), un particolare e antico sistema d’irrigazione omanita. Le costruzioni idrauliche di questo tipo risalgono al VI sec.,  anche se esistono le prove archeologiche che mostrano l’esistenza di alcuni precursori già nel 2500 a.C. Aflaj comportano un’equa divisione tra servizi e risorse limitate, per permetterne la sostenibilità. Grazie alla gravità, l’acqua viene canalizzata dal sottosuolo o da alcune sorgenti temporanee per fini agricoli o per usi domestici, spesso condotta dalla sorgente all’utilizzatore finale per molti chilometri. La ripartizione delle risorse idriche tra i vari villaggi, la costruzione e manutenzione è gestita tramite la mutua dipendenza. Sono state costruite molte torri di osservazione (e ne vedremo tante in corso del nostro giro) per controllare e difendere i sistemi di irrigazione e le condutture d’acqua. Attualmente il sistema di irrigazione è a rischio a causa del basso livello idrico delle falde acquifere sotterrane. I più importanti e più antichi esemplari sono tutelati dall’UNESCO.

Attraversiamo il corso d’acqua per arrivare al ristorantino rudimentale, sotto di cui si trova un laghetto dove è possibile fare il bagno – donne vestite, ovviamente. Invece, se si fa un po’ di sentiero non tanto comodo, si può arrivare ad un posto incantevole dove si può nuotare in costume da bagno occidentale, immergendosi in un’acqua limpidissima e godendo un scenario naturale mozzafiato: piccole gole, i canyon in miniatura, scivoli naturali, ponti di pietra che uniscono enormi massi…  Certamente, siamo andati tutti. Tuffarsi nell’acqua turchese è un’esperienza molto bella, ne vale la fatica. Abbiamo goduto tutti i minuti concessici: ci tocca a correre alle nostre Toyota, perché bisogna arrivare sulle dune – ed è tassativo – prima del  tramonto. Il tempo non è bellissimo, appena entrati nel deserto ci bagnano 2-3 gocce di pioggia, il fatto ché rappresenta una rarità. Questo deserto, detto Wahiba Sands fa parte del più grande deserto del sabbia al  mondo: Rub el Khali, il quarto vuoto. Arrivati al nostro campo, facciamo un velocissimo check-in. Per risolvere il problema della tripla che non si può avere, Franca e Paola staranno questa notte nello stesso bungalow, ormai sono diventate amiche. Riprendiamo di corsa le nostre macchine e risaliamo le dune rigorosamente nella auto chiusa, per la ripidità e per la sabbia che entrerebbe copiosa. Questa parte del deserto – in arabo Sharquiyah e conosciuto come Wahiba sands, dal nome delle tribù beduine che lo abitano.  I nostri autisti, tutti quanti beduini, alcuni molto giovani sono esperti e si divertono a guidare: ci fanno andare su e giù per le dune, corrono e fanno sorpassi, salgono e scendono, ci “spaventano” con le loro acrobazie. Sono bravissimi a guidare, e nonostante sembrano spericolati, siamo sicuri che con loro non accadrà alcun incidente. Sembra che la sabbia dorata scorre nel sangue dei beduini, insieme con globuli bianchi e rossi…Tutti proviamo brividi durante la corsa, alcuni gridano “fatemi scendere”, altri cercano di riprendere la corsa di altre macchine con i cellulari, divertendosi. Le dune sono ripidissime, con alcune salite e discese quasi perpendicolari. Infine scendiamo sulla cresta di una duna  molto alta in attesa di tramonto.

Camminiamo a piedi scalzi, facciamo le foto buffe e serie, di gruppo e da soli, con i beduini e con le Toyota, con la sabbia e con il cielo.  Con il mio “bravissimo” cellullare faccio le foto a Franca e a Giuliana, ma anche ai “professionisti”  Renzo e Armida, Mauro e Maura… Dopo il primo momento di schiamazzo generale, ognuno cerca un po’ di silenzio e di pace, ci allontaniamo gli uni dagli altri, ognuno cerca di vivere deserto a modo suo. Ogni persona è diversa, ogni deserto è diverso: ogni momento e diverso.  Guardiamo il sole, un po’offuscato dalla polvere che scende dietro l’altra alta duna. Il cielo non è   limpido, è quasi minaccioso, di faccia seria, un po’ grigia. Sabbia si increspa tutta nel momento di tramonto, dal colore che vira dall’ocra al rosso. Il vento che si sente nel silenzio, è silenzioso, afono anch’esso.  La temperatura scende all’improvviso. Vogliamo rimanere ancora,  ma il buio si fa sempre più pesto, si fa prepotente e ci fa scendere.  Riprendiamo la corsa in giù con i fari delle Toyota accesi: un altro spettacolo. Entriamo nelle nostre tende che sono in realtà dei comodi bungalow in muratura, per farci la doccia, e poi usciamo a concludere la serata con una cena tipica accompagnata da musica beduina. Alcuni di noi si mettono perfino a ballare, poi ci spostiamo in cortile dove ci fa la compagnia un bel falò acceso. Una specie di boma beduino, con racconti, scherzi e canti. Di nuovo dal cielo cade qualche goccia d’acqua, ma noi siamo riparati. Andiamo nei bungalow, essenziali ma accoglienti. Silvana, Paola e Giancarla hanno prenotato l’escursione in jeep per ammirare l’alba sulle dune, mentre Sergio, Pinuccia e Maria saliranno ai piedi. Io – insieme a diversi altri partecipanti – mi prometto di dormire, ma mi sveglio lo stesso prima dell’alba, trovando davanti il loro bungalow tutti quanti ad aspettare il sorgere del sole dal “basso” del nostro villaggio Oryx Camp.

27 ottobre.  Tutto il “grigiore” è stato ripulito durante la notte: il cielo è limpido, la sabbia è tutta oro chiaro, sembra che anche bianche dishdasha dei beduini sono più bianche del solito. Prima di partire, salutiamo i nostri autisti-beduini che si presentano con i loro cammelli. Partiamo e dopo un po’ di strada visitiamo il caratteristico villaggio Al-Mudairib. Sarebbe bello e auspicabile di tenerlo un po’ meglio nei termini di pulizia: infatti, entrati in una delle case di cui tetto si gode una stupenda vista, dovevamo camminare sulle scale piene di rifiuti, che non abbiamo trovati mai nei altri posti. Proseguiamo verso un altro sito, antico villaggio Al-Manzafa, vicino alla città di Ibra. Il villaggio è pericolante, con tanti edifici in rovina, ma palazzi di fango con le superbe finestre e particolari archi, con colonne e balaustre che testimoniano un passato glorioso sono di un fascino irresistibile. Aziz ed io dobbiamo in continuo ricordare di non salire sopra le strutture per non farsi del male. Facciamo anche una sosta al centro di Ibra, dove di mercoledì si tiene un vivace mercato delle donne: oggi pure c’è, ma con poche venditrici, alcune con le mascherine che coprono gli occhi e il viso intero. Comunque riusciamo a trovare alcune cosettine originali e sfiziose, come la polvere di kajal conservata nei contenitori di conchiglie, la particolare passamaneria fatta a mano, gli immancabili datteri e le elaborate mascherine che coprono il viso femminile. Aziz – d’accordo con me –  ha scelto di farci una sorpresa per il pranzo.

Si tratta di un ristorante molto tipico, molto tradizionale, molto locale e molto particolare: Rimel Yaman è tenuto da una famiglia jemenita. Per noi c’è l’agnello cotto in una grandissima buca col metodo che ha i “parenti” nella nostra Sardegna, dove si chiama “a carraxu” (cottura in buca interrata). Questa cottura speciale consiste nel riempire la buca di brace per scaldare le pareti; tolta la cenere si stendono sul fondo frasche di legni profumati adagiandovi sopra l’agnello e poi si ricopre con altre frasche; alla fine si chiude la buca con la terra e vi si accende sopra un fuoco. L’agnello era buonissimo, ristorante era un po’ rustico, Maria, Ida, Monica ed io abbiamo mangiato all’araba, per terra e senza uso delle posate, da un grande piatto d’argento dove tutte le pietanze erano servite insieme. Nonostante che in primo momento alcuni hanno espresso la perplessità riguardo la location, una locanda di campagna, alla fine tutti hanno apprezzato moltissimo la qualità del cibo e l’originalità del servizio. Aggiungo che sono proprio questi posti autentici e irripetibili ciò che fa di un viaggio “Il Viaggio”.

Dopo il pranzo ci dirigiamo alla cittadina di Bahla, circondata da mura in adobe lunghe dodici chilometri. E’ conosciuta per le ceramiche, per il suo splendido forte, patrimonio UNESCO costruito nel XIV secolo che tempo fa fu il centro della resistenza kharigita alla “normalizzazione” voluta dal califfo Hārūn al-Rashīd. Il forte è ancora in restauro, ma nostro bravissimo Aziz ci porta con le vie alternative (e un po’ pericolanti) a visitare il più possibile. Bahla è conosciuta come la città delle streghe le quali – secondo la legenda – erano imparentate con la maga della mitologia greca Circe, in quanto capaci anch’esse di tramutare esseri umani in animali. In piazza c’è ancora un antico albero con le catene a cui legavano i potentissimi jinn. Oggi in Oman è vietato anche parlarne di magia nera, ma le vecchie storie, come ben sappiamo, riescono ad evitare anche le leggi più severe. Proseguiamo per Jabrin, per visitare il famoso forte-castello, imponente e ben conservato, costruito nel 1670 dall’Imam Sultano Bin Saif Al Ya’Aruba. Il castello dalle pareti ocra sembra quasi una costruzione di sabbia che si erge al centro di un fitto palmeto. Attorno un cortile interno, come in una favola si snoda la complessa architettura dell’edificio: alcune stanze sono vaste e conservano meravigliosi soffitti affrescati, altre sono minuscole ed anguste, senza finestre.  Ci sono quelle con gli archi abbelliti dalle iscrizioni coraniche, quelle che vantano bellissime finestre traforate, poi ci sono stretti passaggi e stupende scalinate, c’è anche la prigione con una porta piccola piccola. Al pianterreno troviamo il magazzino dei datteri, il cui succo veniva convogliato negli appositi canali sotterranei, invece salendo sul terrazzo, troviamo una scuola coranica con una piccola moschea e una vista mozzafiato a 360 gradi.

E’ già la fine della giornata e ci dirigiamo verso Nizwa, dove ci aspettano le stanze e la cena nel nostro albergo. Una parte del gruppo dopo cena esce con Aziz in un locale a fumare narghilé: il locale e costituito dai gazebo con un maxi schermo, ed è frequentato da soli uomini. Ovviamente, non servono alcool, ma oltre il narghilé che proviamo a fumare tutti, prendiamo una bibita locale analcoolica e ci divertiamo un sacco …

28 ottobre. Al mattino ci rechiamo al mercato di Nizwa, deve iniziamo le nostre visite con il reparto della frutta e verdura. E’ di proporzioni industriali, e tutti facciamo le provviste dei datteri in quanto questo frutto nazionale omanita e davvero buono. Ci sono anche le spezie e vari prodotti artigianali, così ognuno gironzola per il resto del mercato secondo propri gusti. Nizwa è la città famosa per l’artigianato, quindi facciamo le più svariate compere: profumi, argento, diversi souvenir. Siccome il forte di Nizwa è chiuso per restauro, decidiamo di fare una passeggiata nel delizioso centro storico. Pur non potendo entrare, fotografiamo le mura e le porte e giriamo attorno la moschea di sultano Qaboos ammirando l’elegante minareto e la bella cupola ricoperta con le maioliche. In seguito scopriamo delle belle case private finemente decorate. Alla fine della visita ci aspettano le jeep per la gita sui monti Hajar, la parola che in arabo significa pietra: la vetta più alta è Jebel Shams (“La Montagna del Sole”) che supera 3000 metri ed è la più alta della penisola arabica.

Altro che deserto “piatto”… Pranziamo sulla terrazza del bellissimo Jebel Shams resort: ottimo pranzo è condito con aria frizzante e un panorama magnifico. C’è anche una piccola piscina, molto invitante, purtroppo riservata per agli ospiti dell’albergo. Ci consoliamo con il fatto che non abbiamo costumi da bagno con noi, rimasti sul pulmann. Altrimenti, avremo chiesto la possibilità di fere un tuffo. Dopo il pranzo riprendiamo le 4×4 che ci portano ad un punto panoramico con vista mozzafiato sulla valle e sui picchi montuosi. Nelle vicinanze si trovano le rocce con tanti fossili incastonati, e noi facciamo a gara per individuarli.  Infine iniziamo a scendere ammirando le cime caratterizzate con delle sagome veramente fantastiche: si tratta di rocce che sembrano di granito, ma in realtà sono le pietre calcaree molto friabili, modellate nel corso dei millenni dal mare e dai terremoti, e poi erose da piogge e vento che hanno portato nelle valli sottostanti un limo fertile e pietre più piccole.  Piene di fossili e di giacimenti di rame, le pietre sono un vero tesoro sia geologico sia naturalistico. Angelo fa qualche commento geologico. Appena scesi ci fermiamo per fare due passi e riprenderci dalla strada tortuosa : dall’altro lato c’è il villaggio abbandonato A’nakhar, che sembra uscito dai racconti di Mille e una Notte.  Anche il villaggio Misfat al-Abriyah, che visiteremo, produce da lontano l’impressione che la montagna abbia fatto germogliare case e fortini tra alberi e fiori. Tutti questi villaggi sono costruiti con dei mattoni di fango cotti al sole.

Misfat al-Abriyah si contraddistingue per le strette viuzze, le case tradizionali decorate (la più antica ha più di duecento anni) e alti edifici in argilla. Inoltre ci sono i canali per irrigazione e piccolo stabilimento termale separato per le donne. Gli abitanti di questo villaggio, situato a un’altitudine di circa 1.000 m, vivono sulla sommità della montagna, ai cui piedi si estendono le loro coltivazioni terrazzate. Gli uomini, che vi hanno estratto rocce e pietre, riducendole in polvere per farne una terra fertile propizia alla coltivazione, hanno saputo convogliare le acque in ormai ben conosciuti canali a spirale “falaj” per dissetare sia la terra che le persone. Riusciamo anche entrare in una casa, a dir poco pericolante, in cui vivono gli immigrati Pakistani che lavorano come muratori per il progetto della ristrutturazione del villaggio. Le condizioni delle loro abitazioni e della loro vita non si possono descrivere con le parole: bisogna entrare, vedere e parlare con loro. Sta scendendo la notte mentre attraversando un rigoglioso bananeto iniziamo la nostra ultima visita: il villaggio di al-Hamra. Feliciano è contento, finalmente attraversiamo un bananeto che è stato promesso durante la presentazione del viaggio. L’antica città di al-Hamra (la rossa) fu costruita 400 anni or sono durante la dinastia Ya’arubi. La parte vecchia è piuttosto disabitata anche se in alcune delle case ancora c’è chi vive secondo antiche tradizioni. Infatti, la nostra guida ha organizzato la visita ad una casa dove ci accolgono le donne che ci mostrano come si preparavano medicinali, come si tesseva, come si cucinava offrendoci alla fine il tipico caffè omanita, anch’esso un simbolo della nazione e della ospitalità.  Maria Grazia, Pinuccia, Maura, Milvia e tutte lealtre signore sono molto curiose: domandano, guardano, provano a fare. Alla fine è possibile comprare qualche prodotto. In realtà non c’e ne sono per tutti: poche scatoline con la pomata per mal di testa, qualche nastro fatto a mano, e niente altro.  

La casa possiede una imponente collezione di abiti tradizionali, di utensili e oggetti che facevano parte della vita quotidiana d’un tempo.  Facciamo una specie di festa in maschera, indossando bellissimi abiti che non sono in vendita: purtroppo, perché sarebbero dei bellissimi ricordi, ma è una fortuna per i portafogli perché molti di loro sono davvero preziosi, ricamati con argento e pietre dure.  Come consueto in albergo si arriverà tardi, dobbiamo avvisare di aspettarci con la cena. Saliamo nelle camere e andiamo a nanna. Dopo aver ordinato i appunti scendo  a fumare la sigaretta prima di dormire: sono con la testa piena di odori, suoni, colori e sapori che creano un caleidoscopio di emozioni e impressioni vissute in questi giorni. Fuori della porta dell’albergo c’è un ragazzo omanita, vestito con una dishdasha bianchissima e molto elegante, abbellita con il fiocco laterale profumatissimo. Sta aspettando un taxi.  Ciascuno si trova da una parte dell’ingresso in hotel, poi il ragazzo mi rivolge molto timidamente la parola in inglese chiedendomi da dove  provengo. Rispondo e ricambio con la stessa domanda. Mi dice che lui è di Dhofar, parte dell’ Oman che si trova al sud, famosa per l’incenso. Iniziamo a chiacchierare – è primo e unico incontro, a parte gli autisti – con un omanita ed è proprio per questo che lo voglio raccontare. Dice che si chiama Omar ed è a Nizwa perché si è appena laureato in informatica e comunicazione. Aggiunge che è il dodicesimo di 13 fratelli… è un po’ sorpreso quando racconto che ho una figlia sola, ingegnere, che in questo momento è a New York. Quando dico che sono sola qui in Oman e che mio marito è rimasto in Italia,  scappa un “How!?! ”, pieno di sorpresa e incredulità. Continua “for one omani lady is impossible to staying out of home alone in the night, but nobody touch you here, the Oman is very safe. We respect ladies”. Chiedo delle condizioni delle donne in Oman, e lui racconta che le donne omanite sono diverse, ma non in privato: mi dice che in casa si vestono come gli pare, che fumano e ricevono le amiche per discutere di tutto, che sono istruite e molto gentili e aperte. Arriva il suo taxi. Suppongo che abbia chiesto all’autista  di aspettare. Continuiamo a parlare: mi chiede cosa abbiamo visto, se mi piace il suo paese, cosa penso del loro stile di vita. Il ragazzo conclude con un bel pensiero dicendo cha ha studiato comunicazione perché vuole comunicare con tutto il mondo, aggiungendo che è bello poter conoscere le tradizioni e usanze degli altri. Spiega che per lui le tradizioni sono buone, e che cattive sono le esagerazioni che derivano dai fanatismi di ogni tipo, soprattutto quello religioso. Torno in stanza: non riesco prendere il sonno pur essendo stanca. Sono molto contenta che sono riuscita scambiare quattro chiacchere con un omanita giovane, perlopiù della provincia. Forse unica mancanza del nostro tour è quella del contato con qualche omanita doc: la nostra guida è bravissima, ma è egiziano, come la maggior parte delle guide; i camerieri e il personale dei ristoranti e alberghi sono tutti immigrati, ed è una caratteristica diffusa tra i locali che non vogliono fare certi lavori pesanti. Unici omaniti che abbiamo incontrato sono gli autisti beduini, le donne nei mercati e i musicisti nel campo Oryx, ma non parlavano inglese…

29 ottobre. Di buon mattino proseguiamo verso la città di Barka, accompagnati lungo le strada dalle alte cime dei monti Hajar.  Barka è una cittadina storica sulla costa, famosa per il suo mercato del pesce e il suo forte, anch’esso in restauro. La visita comunque non era nel programma, ma noi siamo soliti fare degli extra quando possiamo. Sembra che stanno ristrutturando tutte le fortezze del paese. Andiamo quindi subito al mercato per assistere alla curiosa asta del pesce: appena pescato il pesce viene messo su un basso tavolo di marmo e il battitore lo vende al miglior offerente;  poi man mano i prezzi scendono. Quello che rimane viene trasportato alle altre città: bisogna riconoschere che è sempre freschissimo, pescato nella giornata nelle pescose acque della provincia di Batinah. Troviamo alcuni pesci che riconosciamo, ma anche molte specie stranissime, mai viste prima. Dal momento che abbiamo ancora del tempo, facciamo un altro extra, un giro al mercato locale ché è veramente locale. Qui ci aspettano affari incredibili con dei  foulard e i profumi: la merce è  molto bella e di buona qualità, si vende a prezzi  che sono la metà o anche  un terzo di quelli che abbiamo incontrato a Nizwa o a Muscat.  Oltre noi non c’è un turista presso il mercato, e Aziz ha molto da fare per contrattare. Ci aspetta Nakhal, un’altra importante fortezza NON in restauro. E’ una  città costruita ai piedi del Jebel al Akhdar, su un punto strategico. Il forte che domina il paesaggio circostante è particolarmente suggestivo: svetta su di una roccia alta circa 200 m, alcune parti delle mura sono roccia viva ed intero complesso è molto ben conservato. Infatti, qui visitiamo bene tutta la formidabile struttura architettonica, con le funzioni difensive ed abitative. Le stanze sono destinate a diversi usi, ci sono passaggi, scalinate, torri, corridoi, camminate, feritoie. In alcune possiamo ammirare bel mobilio e interessantissime collezioni di armi… L’altra particolarità della zona attorno il forte sono le numerose sorgenti calde, una delle quali si trova a ridosso del fortezza. Quindi dopo averlo visitato andiamo gustare nostro pranzo a sacco (ottimo, sopra ogni aspettativa) proprio al bordo di uno dei questi pozzi profondi di acqua calda, chiamati “blue pools”, così detti per il colore dell’acqua piena di sedimenti minerali.

Il nostro “pozzo” si chiama Ayn Thowara, e per chi vuole si può fare il bagno, ovviamente signore devono essere vestite.  Quelli che si sono immersi dicono che non è particolarmente rinfrescante, quindi maggior parte opta per il vicino ruscello, anche solo per meditare e per immergere i piedi, come fa il nostro don Francesco.  Oggi abbiamo avuto il pranzo a sacco, preparatoci dall’albergo: quello che abbiamo pensato di non poter consumare abbiamo dedicato ad un orfanotrofio che si trova nel villaggio vicino. Alla fine siamo sulla strada del ritorno a Muscat. Ci piace molto quello che abbiamo visto, e vogliamo sfruttare anche ultime ore della nostra permanenza nel Paese.  Telefono all’corrispondente se ci può far avere il pullman a disposizione per domani mattina, per portarci verso la zona di Mutrah. Risponde di si, e siamo contenti tutti: ciascuno di noi ha già un piccolo progetto per domani. Riprendiamo le stanze del nostro hotel con qualche disguido: sembrava tutto pronto, il personale è gentilissimo, ma siamo costretti a lottare per alcuni asciugamani, per un letto della camera tripla, dovuto soprattutto al fatto che mano d’opera straniera non capisce né arabo né inglese. Dopo la ottima cena scopriamo che vicino al nostro albergo c’e un grande centro commerciale. E’ una scoperta recente della coppia Maura/Mauro, che ci dicono  che la vendono anche delle bellissime sciarpe… Le sciarpe ci mancano sempre, sono un oggetto must di tutti i viaggi che ho accompagnato. Quindi, dopo cena usciamo tutti per l’ultimo shopping. Strada facendo ci fermiamo per parlare con molti giovani che troviamo in giro. Finalmente un’altra occasione per parlare con i locali. Facciamo le foto insieme, e siamo particolarmente contenti per aver potuto parlare con le giovani omanite. Si fa tardi, se non ci sbrighiamo il nostro Centro Commerciale chiuderà. Alle dieci meno un quarto entriamo e alle dieci di sera un negozio con delle bellissime sciarpe e foulard, tutte prodotte in Kashmir per mercato omanita è svuotato. Gianni aiuta i commercianti ottenendo dei ottimi sconti per noi. Alla fine in molti – io compresa – abbiamo comprato questi foulard ricamati: sono del tipo che i omaniti usano per farsi il turbante. Prometto che domani chiederò ad Aziz come  fare per tramutare la sciarpa nello turbante: sarà bello imparare, anche perché il Sultano porta sempre questo tipo di copricapo, come possiamo vedere nelle tutte le sue foto ufficiali. Rientrati nelle nostre stanze  facciamo le valigie e andiamo a dormire.

30 ottobre. Dopo la colazione carichiamo i bagagli sul pullman e partiamo verso il mercato,  Muttrah. Ognuno di noi ha un itinerario personale per questa ultima mattina nella capitale. Un paio di persone resta in albergo per rilassarsi un po’: Anna, Angela, Giancarlo e Angelo rimangono. Il nostro splendido giro dell’Oman è stato un po’ faticoso: come sempre abbiamo aggiunto qualche visita e qualche esperienza….  La maggioranza trova le ultime riserve d’energia: Giuliana, Monica e Maria vogliono vedere il mercato del pesce, Armida e Renzo vogliono fare un giro della vecchia Mutrah, Mauro e Maura con la mamma Annamaria hanno un itinerario simile con aggiunta di lungomare, Maria Grazia, Feliciano, Luigia e Gianni vanno dapprima visitare la moschea e se c’è tempo anche il forte, don Francesco vuole fare le ultime foto delle navi, compresa quella del sultano ormeggiata nel porto… Infine c’è il girone degli ultimi acquisti, ovviamente necessari. Silvana e sorelle Paola e Giancarla devono prendere ultime pashmine, Ida desidera prendere un ultimo pensierino per la sua sorella, i nonni hanno bisogno di ultime magliettine per i nipotini, il resto ha bisogno degli ultimi souvenir perché ha dimenticato qualcuno in Italia a cui sarebbe bello portare un ricordo. Alla fine in queste tre ultime ore tutti facciamo un po’ di tutto, e quasi tutti torniamo al pullman carichi di qualche acquisto. Nell’ultimo momento Maura e Mauro hanno trovato un grande pezzo dell’ambra fossile che in Italia si rivelerà un falso. Proprio in questi giorni in cui scrivo un amico del altro gruppo che è andato in Oman lo sta riportando al negozio che ha restituito i soldi ad Aziz. Onestissimo.

Salutiamo nostro caro Aziz, salutiamo l’autista, facciamo check in spicchiamo in volo. Alla sera saremo a Milano, carichi soprattutto di emozioni e di ricordi. Per dire la verità siamo carichi anche di molte belle cose che abbiamo acquistato: nelle nostre valigie c’è incenso, datteri, profumi, argenti, tessuti, trucchi, magliette, calamite … siamo come una piccola carovana della Mille e una notte che torna dall’oriente.