VERSO LALIBELA

Per incominciare, un augurio di tanti bei viaggi insieme!

Allora, iniziamo come nelle fiabe per il motivo che ci siamo recati in un paese dove la leggenda e il racconto orale ancora contano molto …

…. “C’era una volta un gruppo di amici avventurieri che in una primavera lontana decise di spostarsi nel cuore dell’Africa, per scoprire una delle più antiche civiltà della terra… In seguito, una uggiosa sera d’autunno dello stesso anno essi si imbarcarono nella pancia di un grande uccello metallico e partirono dalla cara vecchia Lombardia verso una terra grande, collocata nel cuore del continente nero. Il giorno dopo erano là; era una mattina piena di sole, ideale per cogliere il “fiore nuovo” che nell’antica lingua amhara si dice “addis ababa”. I nostri spavaldi cavalieri e le nostre ammirevoli dame, armati di curiosità e carichi di buona volontà si misero sulla strada. Erano intenti a scoprire i segreti della signora più vecchia della terra, Lucy; erano pronti a scalare le altissime vette e a percorrere strade sterrate per giungere ai magnifici castelli dei principi del regno di Gonder; erano decisi a calarsi nelle antiche chiese scavate dagli angeli nella roccia viva dal re Lalibela, “la cui sovranità è riconosciuta dalle api”; erano intenzionati ad attraversare fiumi pieni di feroci coccodrilli per far amicizia con bellissimi bimbi che ridono sempre e con fanciulle con gli occhi di gazzella… “      

GRUPPO AD AXUM

xx novembre, lunedì. Tutti i partecipanti si trovano all’aeroporto di Malpensa. Il volo è pienissimo, l’aereo è un po’ datato, lo scalo tecnico di Roma si allunga troppo …spicchiamo in volo, prendiamo la quota, cercando di dormire… Nonostante tutto, il mattino seguente atterriamo, stanchi ma contenti, all’aeroporto di Bole a Addis Ababa, a “soli” 2.360 metri d’altitudine, con oltre 3 milioni di abitanti e con 2 ore di fuso orario in più rispetto l’Italia … 4.  novembre, martedì. Dopo vari controlli, dopo il disbrigo di visti, dopo il levarsi e il mettersi le scarpe diverse volte, finalmente abbiamo preso i bagagli. Incontriamo Helen, nostra corrispondente locale, e Tesfa (che in amhara vuol dire speranza) che sarà la nostra guida durante tutto il tour. Ci imbarchiamo su due coasterbus (solo qui saremo divisi) e attraversiamo la capitale etiope Addis Ababa. Una città con i mendicanti, polvere e povertà da un lato e traffico caotico e ultramoderni grattacieli dall’altro, è una tipica metropoli africana. Una veloce colazione e un breve riposo nel nostro albergo BelleVue: nuovo, bello, pulitissimo, con personale gentile e disponibile. Peccato che alcuni di noi hanno avuto problemi con l’acqua troppo calda a causa degli impianti solari. Prima del pranzo visitiamo il Museo nazionale, uno dei più importanti musei mondiali, (nonostante poco lustro espositivo), per il fatto che conserva i resti del primo antenato dell’uomo: la celebre Lucy – Dinkinesh, vissuta 3,5 milioni di anni fa e scoperta tra le sabbie sassose della regione di Afar circa 40 anni fa. E’ emozionante stare di fronte a questa umile teca, davanti ai resti di questa piccolissima, giovanissima, pre-pre-pre-istorica “Eva” … Pranziamo nel ristorante “Louvre”, dove assaggiamo la cucina etiopico-francese, poi visitiamo la sua fornitissima cantina. Proseguiamo con le visite. Nella città si susseguono contrasti: lusso delle ambasciate vietate ai fotografi, poverissime abitazioni create con mezzi di fortuna, tanti lavori stradali in corso, scadenti negozietti affiancati da centri commerciali che man mano li divorano … L’itinerario ci porta a visitare le raccolte del Museo etnografico situato nel bel palazzo di Haile Selassiè, oggi parte dell’Università di Addis Abeba; in seguito saliamo l’Entoto, monte che sovrasta la città: qui incontriamo alcuni scolari in passeggiata e alcune vecchiette cariche di legna raccolta nel bosco. Siamo molto stanchi. L’ultima visita è alla Cattedrale della Santissima Trinità, che all’interno conserva le tombe granitiche del ultimo Negus Neghesti Haile Selassiè (nato come Tafari Makonnen) e della sua consorte Menen. Nel cortile della chiesa ci sono invece le tombe dei ministri assassinati dai combattenti del Derg nel 1974. Qui si incontra sempre una storia travagliata Per concludere la giornata una bella sorpresa: la nostra corrispondente Helen che è di religione cattolica ci invita a visitare la sua parrocchia di San Michele. Alcuni tornano in albergo, perché non hanno più forze; ma la maggioranza va verso la chiesa dove ci accolgono i giovani della parrocchia che in nostro onore cantano e suonano i tamburi kebero. Siamo senza luce perché l’energia elettrica si eroga secondo gli orari prestabiliti, non bastando per tutta l’enorme città. Diciamo una preghiera insieme e ci commuoviamo tutti. Finalmente arriva l’ora della cena, molto buona, che consumiamo un po’ di fretta perché non vediamo l’ora di andare a nanna. Anche domani ci aspetta una “levataccia”, perché bisogna essere presto all’aeroporto, per prendere il volo per la città di Bahir Dar.

LUCY, MUSEO NAZIONALE DI ADDIS ABABA

xx novembre, mercoledì. Sveglia è alle 5,30; il volo è alle 9,20. All’aeroporto i controlli sono numerosi, ma ammirando i magnifici paesaggi al bordo di un bel Bombardier Q200 che vola a bassa quota dimentichiamo noie di controlli e stanchezza dovuta a poco sonno: dopo un’ora siamo sulle sponde del lago Tana. Qui ci aspetta Makonnen, autista del pullman che sarà il nostro mezzo di trasporto fino ad Axum, e un pullmino che porterà i bagagli. Prima tappa sono le cascate di Nilo Azzuro, o Tissisat (l’acqua che fuma). Per arrivare alle cascate dobbiamo prendere delle barche; attraversando il Nilo la seconda barca ha un vis-a-vis con un coccodrillo. Ci incamminiamo per mezz’oretta su un terreno disseminato di rocce basaltiche, un po’ difficoltoso. Ci aiutano i ragazzi locali che per una piccola mancia danno una mano alle persone che camminano più lentamente: così G. e A. si godono la gita con un “accompagnatore personale”. Finalmente siamo di fronte alle cascate, alte da 37 a 45 m, che per fortuna si presentano con una bella portata d’acqua, nonostante che Tesfa racconta come il flusso e conseguente larghezza del fiume sono stati dimezzati dopo la costruzione di una diga per la centrale elettrica nel 2003. Tornando andiamo a mangiare nel ristorante Deset (vuol dire “isola”) sulle rive del lago: il luogo è davvero incantevole, nelle vicinanze c’è un stormo di pellicani, il cibo è a self service ed è servito in bei contenitori riscaldanti, e le pietanze, pur non troppo calde, sono ottime. Dopo il pranzo ci imbarchiamo su una nave per giungere alla penisola di Zeghe: attraversiamo il tranquillo lago, dieci volte più grande del lago di Garda, punteggiato da 37 isolotti, a volte attraversato da stracariche barchette costruite da piante di papiro, in amhara tankwa. Una volta giunti alla destinazione, attraversiamo un sentiero affiancato da lussureggiante vegetazione, composta in prevalenza dagli alberi di caffè e di mango. Dopo un quarto d’ora di cammino arriviamo al monastero di Ura Kidane Meheret, di semplice forma rotonda e con un portico coperto che cinge tutto l’edifico. E’ costruito in fango e paglia compressati, con caratteristico tetto conico ricoperto di paglia al cui centro di svetta una elaborata croce, con 9 uova di struzzo disposte attorno. Tutte le pareti sono tappezzate con le peli di capra dipinte con dei colori sgargianti, dalle tematiche che attingono alla ricca tradizione religiosa etiope, risalenti al XVI/XVII secolo. In seguito visitiamo la chiesa di Azwa Maryam, di costruzione similare alla prima, anch’essa splendidamente decorata. I monasteri del lago Tana, ancora abitati da monaci e monache (certamente separati) sono stati eretti qui a partire dal XI secolo: la tradizione narra che nel monastero di Tana Kirkos, era custodita L’Arca dell’Alleanza. Il monastero maschile è tuttora funzionante, con ingresso vietato alle donne. Ci sono anche bambini che si accingono alla vita monacale a cui regaliamo quaderni e matite: si mettono subito a scrivere, ringraziando con un gran sorriso. Torniamo alla nostra barca, perché in Africa il sole tramonta in fretta. Navigare con il sole che tramonta e poi sotto le stelle, senza inquinamento luminoso … è poco dire meraviglioso. E’ ora di andare in albergo. L’Abay Minch Lodge è composto di diversi bungalow costruiti in stile locale che imitano il tukul, capanne africane rotonde, ed è immerso in un rigoglioso giardino tropicale. Dentro le stanze troviamo un arredamento semplice nello stile locale, bagni con doccia calda e abbondante, tutto pulito. In ristorante mangiamo bene, sulla terrazza hanno acceso un bel fuoco, fa freschino … parliamo di quanto abbiamo visto, Pian piano tutti si ritirano nelle stanze mentre Tesfa ed io progettiamo cosa aggiungere al programma, già così pieno. Non ricordo tutte le aggiunte stabilite, le vedrò domani, sono anch’io come tutti quanti con gli occhi a mezz’asta.

CASCATE DI NILO AZZURO

xx novembre, giovedì. Da Bahir Dar, la capitale della regione Amhara la strada ci porta verso Gonder. La nostra prima fermata è presso un contadino che fa la trebbiatura del grano con i buoi: S. si mette subito ad aiutarlo. In un altro campo di teef (il cereale locale) un bambino sta nel mezzo facendo lo spaventapasseri vivente.  Un po’ dopo ci fermiamo per fare visita a una famiglia: per primo scende Tesfa per chiedere il permesso da capo di questo villaggio che si chiama Woreta, dopo di che una donna ci accoglie dentro la sua casa: la padrona di questa poverissima abitazione ci mostra le sue “medicine”, unici rimedi che aiutano nel caso del bisogno: sul muro è inchiodato un sgualcito quadro della Madonna con bambino; accanto, una quasi vuota scatola di aspirina. Regaliamo un po’ di cosettine che abbiamo a bordo: caramelle, penne, saponette e dentifrici. Alla fine, vista la situazione, aggiungiamo qualcosa in più: M. regala un paio di scarpe, A. una maglietta, io una borsetta … Attraversando la strada ci rechiamo nella scuola collocata in una capanna grande. Ospita tantissime bambine e bambini e due maestre: mentre irrompiamo nella loro “aula” ci osservano dapprima un po’ increduli, ma dopo un paio di minuti cominciano a ridere e alla fine cantiamo insieme, alcuni di noi seduti tra loro nei banchi. Siamo emozionati tutti, soprattutto la nostra “maestra” in pensione F. M. cerca di fare una foto con loro, ma non riesce perché prima che venga scattata i bimbi corrono dietro di lei per vedere cosa è uscito sul display della macchina fotografica. Infine attorno la scuola si costituisce una folla curiosa e festante, viene perfino a salutarci la direttrice facendo un discorso … anche se desideriamo rimanere qualche attimo di più, partiamo perché il pranzo ci aspetta a Gonder. Il ristorante Arat Ihii, gestito da quattro sorelle porta il nome che significa esattamente quattro sorelle. Dopo il pranzo ci offrono il caffè, preparato secondo il rito etiope: tostato, bollito e versato nelle piccole tazzine senza manico. E’ buono … non a caso, Etiopia è patria del caffé. Dopo il pranzo E. in un negozietto trova un bel vestito “griffato Amhara”, ricamato a mano con delle croci; suo marito si chiede quando lo indosserà? Prometto di comprarne uno anch’io e che andremo a prendere un aperitivo a Milano, vestite alla etiope… Subito dopo il pranzo, visitiamo il complesso dei castelli di Gonder, patrimonio UNESCO, risalente al XVII secolo. Si tratta del magnifico e splendidamente conservato resto di una delle antiche capitali. Gonder fu fondata nel 1665 dal re Fasilidas: visitiamo prima il suo castello con bel scalone esterno, poi quello di suo figlio Iyassu, in seguito il Palazzo di Dawit con sala per banchetti e le stalle.  Non manca nulla a questa reggia: c’è un archivio con la biblioteca, ci sono le gabbie per gli animali feroci, ci sono giardini… Concludiamo le visite con il palazzo di Qusqwam, appartenuto alla pia regina Mehtewab. Non a caso questo particolare complesso architettonico venne chiamato Kamelot africana: è edificato in uno stile che incrocia architettura coloniale portoghese con influenze axumite e arabe. I palazzi e giardini sembrano surreali, usciti da una fiaba; ma sono di pietra, solida e robusta, sopravvissuta a diverse intemperie della natura e della storia. In seguito visitiamo Debre Birham Selassié, (Chiesa della Ss. Trinità), una splendida chiesetta rettangolare della seconda metà del ‘600, conosciuta per le innumerevoli faccine di angeli che ornano il tetto della costruzione. Per ultimo ci rechiamo ai Bagni di re Fasilidas, un po’ distanti dal complesso dei castelli: l’ampia vasca rettangolare ingloba un piccolo e delizioso edificio, di forme armoniose e slanciate, probabile seconda residenza reale oppure solo un luogo rituale. Le radici dei ficus strangolatori avviluppano e sostengono sezioni delle mura in pietra che circondano il terreno dove sorgono la piscina con il palazzetto. Il complesso era ed è utilizzato per celebrazioni religiose, ed è frequentatissimo soprattutto in occasione del Timkat (Epifania): la piscina viene riempita dell’acqua proveniente da un fiume distante 500 km grazie ad un acquedotto, un vero miracolo ingegneristico che non si immagina esistesse nell’Africa del seicento. Funziona pressappoco così: un sacerdote benedice l’acqua e in seguito la folla, tutti vestiti di bianco, si immergono nelle acque santificate cantando e pregando, rievocando in tale modo il battesimo di Gesù nel Giordano. Alla fine della giornata siamo impolverati e stanchi, ma strafelici. Meno male che il nostro albergo Goha, anch’esso in stile africano, ci riserva una sorpresa positiva, con dei bei bagni e abbondante acqua calda. G. mi dice che aspettava alloggi peggiori mentre finora tutti gli alberghi sono molto belli e puliti. Sono contenta perché prima della partenza abbiamo avvisato il gruppo che bisogna adattarsi e che potremo trovare qualche disagio. Nel ristorante dell’albergo incontriamo un gruppo dei Norvegesi, in compagnia di una famosa cantante etiope, Itenesh Wassie, che ci regala un mini-concerto con la musica tradizionale. Alla fine della serata cantiamo Volare, con il coro guidato da Itenesh e composto di noi, i norvegesi e i camerieri…  con il canto vola anche la serata conclusasi con l’accensione di grande camino e con le chiacchiere fino oltre mezzanotte, alla faccia delle incomprensioni linguistiche e della stanchezza.         

UNO DEI CASTELLI DI GONDER

xx novembre, venerdì. Lasciamo Gonder e i suoi castelli. E’ una giornata di trasferta, però Tesfa ed io abbiamo combinato diversi interessanti “fuoriprogramma”. F. non sta tanto bene per la stanchezza e suo marito G. dimostra tutta la premura verso di lei, così che alla fine concludiamo che a volte conviene star male. La mattina ci riserva una sorpresa bellissima, cioè la visita al villaggio di Awra Amba – “città sopra il colle” che serba una storia affascinante e incoraggiante.   Il villaggio, speso precluso alle visite fu creato 40 anni fa da Zumra Nuru, un contadino visionario che da giovane iniziò ad interrogarsi sulle condizioni della vita umana: la parità dei sessi, l’abuso legato al potere, la disuguaglianza, la libertà religiosa. Non sapeva né leggere né scrivere, ma sapeva pensare e sognare: con diciannove persone che condividevano le sue idee fondò un villaggio che oggi ha circa cinquecento abitanti. Qui il lavoro è distribuito in base alle competenze, donna e salute materna sono protetti, il matrimonio sotto l’età di diciott’anni non è consentito, tutti, ragazzi e ragazze sono incoraggiati e sostenuti ad andare a scuola. Le decisioni, il lavoro e il profitto sono distribuiti equamente. Zumra e i suoi amici sono stati spesso oggetto di attacchi da parte dei villaggi vicini, governatori locali e stato. A causa delle sue idee sono finiti anche in prigione. Ma con tanta perseveranza, grazie alla solidarietà e ai sani principi, hanno vinto la siccità, le carestie, le ostilità politiche. Oggi stanno portando avanti una fiorente comunità autosufficiente, che non ha voluto modernità ad ogni costo. Il villaggio infatti non ha abbandonato i valori positivi della tradizione contadina. Lo testimoniano le persone che incontriamo, i pozzi d’acqua, la piccola scuola con biblioteca, la tessitura dove lavorano le donne (in Etiopia un lavoro tradizionalmente riservato agli uomini), il ricovero per persone anziane, i mulini comuni… Tutti siamo commossi ascoltando le loro storie e vedendo il miracolo che sono riusciti a creare. Dobbiamo lasciare anche loro. Proseguiamo attraversando paesaggi mozzafiato. Lungo le strade cammina la gente, a volte con bestiame, e le macchine che incontriamo sono pochissime, si potrebbero contare sulle dita di una mano. Ci fermiamo diverse volte per ammirare il paesaggio che ci circonda. Viaggiamo ad una quota di 3000 metri s.l.m., ma non sentiamo la mancanza di ossigeno dovuta all’altitudine. Prima sosta è vicino a un villaggio, dove incontriamo alcuni ragazzi che tagliano gli alberi e che vogliono fotografarsi con noi.  Seconda sosta è su un prato che apre verso le vette che circondano la città sacra di Lalibela, dove da nulla spuntano fuori una ventina dei bambini, anch’essi volonterosi a fotografarsi. R. commenta la povertà della gente, dicendo che per lui è molto difficile non dargli niente, e per quello è sempre circondato dai bambini che chiedono qualcosa. Tesfa invece cerca di mettere tutti in fila, così ognuno riceve qualcosa. E’ giusto così… Prima di giungere a Lalibela, ci sono un paio di ore di strada sterrata. Il nostro autista Makonnen, bravissimo a guidare, ci ha fatto cambiare opinione sulla guida “africana” poco affidabile. Quando arriviamo a “città santa” della cristianità etiope e già calata la notte. La hall e la sala da pranzo dell’albergo Lal sono abbastanza ben tenute, ma le stanze, ampie e abbastanza pulite dimostrano la non-manutenzione tipica per Africa. Nei bagni c’è acqua calda però il resto lascia desiderare … una piastrella è di un tipo, l’altra di un altro, la rubinetteria ha la maniglia di un tipo per l’acqua calda e di un altro per la fredda. Aggiungo che si tratta del miglior albergo di Lalibela, un piccolo paese sperduto tra le montagne che con le sue undici incredibili chiese, patrimonio UNESCO  è sicuramente l’attrazione principale dell’Etiopia. Bisogna ammettere che tutti sono gentilissimi e molto disponibili, ma gli standard sono lontani da ciò che “il miglior albergo” dovrebbe offrire.                                                                                     

xx. novembre, sabato. Subito al mattino iniziamo con il Museo di Lalibela, dove ammiriamo alcuni reperti legati alla cultura religiosa: i libri e i rotoli timt’m scritti in antica sacra lingua ge’ez, cesti di comunione birket, tamburi kebero, ombreli zantela. Questa piccola cittadina con meno di 15000 abitanti è chiamata Gerusalemme d’Africa per le sue 11 straordinarie chiese, avvolte nel mistero e “scolpite” interamente nella roccia da re Lalibela, di dinastia Zagwe, che regnò dal 1119  al 1149. Come, con quale tecnica costruttiva, perché in questo modo, come mai qui, nel cuore del continente nero dove oggi si vive ancora nelle cappane … sono le domande che si pongono da sole quando da sopra cominciamo a scendere nella prima chiesa dedicata a S. Redentore, Bet Medhame Alem. B. e A. fanno le foto da sposini sull’ingresso della chiesa … è il loro anniversario del matrimonio. La chiesa del S. Redentore è la più alta e la più grande che esista al mondo realizzata utilizzando una sola pietra; vicino a lei ci sono Bet Maryam, (S. Maria) sul cui sagrato si apre Bet Meskel (S. Croce) e Bet Danaghel (Ss. Vergini Martiri).  Sono tutte appartenenti al così detto primo gruppo, quello a nord del fiume Giordano. Ammiriamo anche Bet Debre Sina e Bet Golgotha, interdetta alle donne. Quest’ultima contiene la Cappella Sellassié, (della Trinità) luogo più sacro accessibile solo all’imperatore, sorvegliato da monaci guardiani: essa secondo la legenda contiene la Tomba di Adamo, la Tomba di Cristo e la Tomba del re Lalibela.  Poi c’è il turno della un po’ distante Bet Giorgis dedicata a San Giorgio, a forma di croce, la più conosciuta e la più fotografata del sito. Una è più sorprendente dall’altra… Aver finito con la visita alla chiesa di San Giorgio, di cui si dice che fu costruita sotto la direzione degli angeli in una notte sola, la maggior parte del gruppo si butta in un’avventura di tipo diverso. Si va al mercato, che è uno dei più grandi della zona: è un’emozione unica, composta da colori, odori, versi degli animali in vendita e strilli dei loro venditori che espongono le sue mercanzie agricole nei cesti oppure stese su variopinti tessuti per terra… I due gruppi delle chiese (bet = casa, chiesa, luogo sacro) sono divise da un canale artificiale, “il fiume Giordano”, e collegate tra di loro da diversi cunicoli. Dopo il pranzo nella terrazza del ex-albergo 7 ulivi di cui si gode un panorama mozzafiato ci accingiamo a visitare il gruppo sud, composto da Bet Amanuel, Bet Merkorios, Bet Abba Libanos e Bet Gabrie-Rufa’el. Lungo il percorso proviamo anche il brivido di attraversare un cunicolo che collega due chiese: qualche centinaio di metri al buio completo, uno dietro l’altro, curvi, in fila indiana e senza fiatare… Quando usciamo, A. mi abbraccia in lacrime e ringraziando, era perplessa se venire o no, felicissima per aver visto questo luogo incredibile, e anche V.,  ingegnere edile confessa che non credeva che queste costruzioni sono davvero così come sono: imponenti, senza errori, interamente scavate nella roccia monolitica, riscavata per creare spazi interni con colonne, altari, archi… Tornando verso l’albergo, lungo la strada incontriamo un monaco che dipinge sulla pelle conciata come facevano i suoi nonni e bisnonni: Madonne, angeli, santi. Facciamo qualche acquisto… Durante la giornata abbiamo scattato una miriade di foto: R. e sua moglie A. prediligevano l’architettura, M. & M. cercavano i volti, don F. riprendeva i soggetti “naturalistici”, ciascuno creando ricordi a modo suo. Alla sera, ormai abituati alla stanchezza rimaniamo svegli a lungo, ammirando il cielo che qui sembra più vicino…

BET GYORGIS, LALIBELA

xx novembre, domenica. Nessuno di noi ha dormito tanto bene, ci svegliavano i monaci che cantavano e suonavano tamburi tutta la notte in preparazione delle celebrazioni domenicali. Nella città santa di Lalibela la notte tra sabato e domenica è molto particolare: è una veglia per tutti, non solo per  i preti; molta gente cammina per decine e decine di chilometri tutta la notte, per essere nella città all’alba, le donne con dei veli bianchi e con bimbi in braccio, gli uomini con i propri bastoni. Al sorgere del sole sono tutti presenti per partecipare la solenne Messa etiope, una cerimonia lunga e molto sentita, basata su un credo ingenuo e ricca di riti che si perpetuano da due mila anni. Dobbiamo lasciare Lalibela e le sue meraviglie: oggi bisogna arrivare a Makallé. Prima cosa che cerchiamo è un posto “tranquillo” con dei “sassi adatti”, per accogliere la celebrazione della nostra S. Messa. Troviamo un luogo ideale, villaggio si chiama Gashena e anche qui i capi villaggio ci danno il permesso dietro la richiesta di Tesfa: c’è un prato con dei sassi e con un paio di alberi. Prepariamo la Mensa, ci disponiamo attorno, prima noi, poi arrivano i pastorelli locali, le mucche, gli asini, le pecorelle… E’ una S. Messa collocata nel Presepio vivente che si è creato da sè. Ci porta ai tempi di Gesù, il cielo è limpido, c’è il vento, fa freddo… Siamo commossi tutti quanti. Don F. ricorda T. che ci ha lasciato da poco. T. era iscritto nel viaggio, desiderava tanto visitare l’Etiopia e lo sentiamo qui con noi, vicino alla sua moglie A., vicino a suo figlio e nuora, vicino a tutti noi e alle bellezze di questa magnifica terra. Abbiamo sentito tutti che l’Etiopia è bella, ma non riuscivamo a credere che è bella fino a farci piangere. (il video è disponibile sul nostro canale YouTube) Arriviamo nel punto più alto dell’nostro viaggio  attraversando il passo Dilb a 3750 m s.l.m. Qui il fiato manca ma il paesaggio è come sempre appagante… Pian piano scendiamo, attraversando il fiume Saka, ora completamente secco e siamo nella regione dell’etnia Raya, noti come un popolo vanitoso e fiero, prevalentemente di religione islamica. Pranziamo nel ristorante Woldia. Il paesaggio è sempre più desertico, ci accompagnano accacie, euphorbie e velenose procere. Facciamo una sosta presso un villaggio dove si tiene il mercato dei dromedari. Tesfa prudentemente consiglia di non avvicinarsi per non rischiare che ci chiedono i soldi per le foto, ma i più coraggiosi (quindi E., S. ed io) non ubbidiscono avvicinandosi e cercando di parlare con i cammellieri e i mercanti. Facciamo le foto, ridiamo insieme, regaliamo delle matite e quaderni ai bambini…ci invitano perfino a salire sui cammelli, senza nessun compenso. Proseguiamo, qui il buio scende velocemente e di regola bisogna essere alla destinazione prima del buio. Con tutti i nostri “extra” è impossibile. Alla nostra destra inizia la depressione di Dancalia, mentre noi proseguiamo verso il Tigray, Tigré di cui Makallé è capitale. Nella regione di Tigray nel ottocento furono attivi diversi presidi Italiani, non tanto amati dai locali. Il primo ad arrendersi ai ras tigrini fu Amba Alagi, nel dicembre del 1895. All’inizio del 1896 al comando del forte di Makallé fu posto il maggiore Giuseppe Galliano, che cercò invano rinforzi da Roma; in seguito il 21 gennaio si arrese ai 60.000 etiopi comandati da ras Makonnen, padre del futuro imperatore d’Etiopia Haile Sallassié, secondo credenza discendente di re biblico Salomone. La sconfitta definitiva fu presso Adua, nei primi giorni di marzo del 1896, quando Negus Menelik con la sposa Taytu e diversi altri ras (compreso Makonnen) annientarono il mal organizzato esercito italiano. Tra le montagne di Adua ci passeremo domani… L’albergo Planet è molto buono, dopo il “Lal” di Lalibela ci godiamo il lusso dell’arredo orientaleggiante, di gusto esuberante ed esagerato…

xx novembre, lunedì. Siamo di nuovo in viaggio, dopo un breve giro panoramico lasciamo Makallé, città moderna e centro universitario e governativo di Tigray… La prima visita, dopo 15 km di strada sterrata, è alla chiesa di Abraha e Atsbaha, una delle più antiche, fondata dal primo vescovo etiope Frumenzio che convertì re Ezana. Tesfa ci racconta la storia dei due re gemelli, Ezana e Seizana, spiegando le immagini sacre che coprono interamente i muri della chiesa, e alla fine chiede al monaco di mostrarci l’antica croce forgiata in una lega d’oro e rame appartenuta al re Ezana che si conserva in questa minuscola chiesa rupestre, un posto senza allarme e senza sale espositive. Dalla porta accanto esce il prete, con ombrellino variopinto sotto di cui c’è una magnifica croce. Proseguiamo. Attorno a noi il deserto si fa sempre più deserto, e tra la scarsa vegetazione scorgiamo le piante di mirra. Lungo la strada incontriamo il villaggio Negash, il primo in Etiopia a convertirsi al islam, ancora ai tempi del profeta Maometto. Vediamo i ragazzi che vano alla o tornano dalla scuola che si svolge in due turni, macinando chilometri e chilometri. Non sorprende che gli etiopi siano degli ottimi maratoneti, con stile di vita “a piedi” e l’altitudine a cui si trovano, si allenano tutti quanti ogni giorno. QqAttorno Makallé si cominciano a vedere anche le bici. Per pranzo ci fermiamo ad Adigrat, in un bellissimo ristorantino arredato in stile tigrino, che porta il marchio “cultural site”. Quando entriamo, i servizi igienici non sono all’altezza e chiediamo di sistemarli. Una volta passato l’impatto negativo mangiamo molto bene, serviti in stile “tigrino” sui tavoli su cui brucia la profumatissima mirra.  Alla fine ci preparano un buon caffè e noi perdoniamo i servizi che nel frattempo sono stati puliti con massima cura. Raccomando al nostro Tesfa di “intervenire” presso le autorità per i turisti futuri. Qui incontriamo le donne con delle croci tatuate sulla fronte che spesso portano i bambini avvolti nel grande fazzoletto fisato sulla schiena, alcune sono nonne, altre madri o sorelle, tutte magre e … bellissime. Andiamo a visitare una delle probabili capitali della biblica regina di Saba, che per gli etiopi porta il nome Makeda e per arabi Bilquis. Yeha, la città del periodo preaxumitico o sabeano ci accoglie con rovine del Grande tempio della luna. Gli archeologi tedeschi scavano in questa località da oltre cento anni, purtroppo solo quando le vicende politiche lo hanno permesso, cercando di completare una pagina di storia conosciuta solo attraverso leggende. Attraversiamo le montagne, maestose e quasi minacciose che circondano Adua, luogo dove sono caduti 100.000 giovani italiani. Ci fermiamo presso il monumento a rendere omaggio. Una modesta croce di pietra dentro un piccolo recinto pieno di spazzatura al bordo della strada principale reca la scritta: “Non abbiamo dimenticato 1896. Vergognoso. Raccogliamo la spazzatura, diciamo una preghiera, con promessa che faremo presente la cosa all’Ambasciata italiana in Etiopia. (Appena tornati infatti ho scritto una e-mail all’ambasciatore in nome di tutti noi, che ha risposto dicendo che non si può far nulla.). Sono le sette passate ed è già notte fonda. Con le strade non illuminate bene e lavori in corso, nostro pullman prende un sasso che amaca il paraurti e la carrozzeria. Siamo come al solito qualche ora in ritardo: siamo ad Axum, la città delle steli. Dopo cena ci troviamo tutti nella hall, e tentiamo a telefonare a casa.  WhatsApp non funziona ma il mio Skype sì, facciamo i turni e riusciamo a parlare con l’Italia quasi tutti… Poi, a nanna.

CHIESA RUPESTRE DI ABRAHA ED ATSBAHA, TIGRAY

xx novembre, martedì. Sembra incredibile: Axum è la nostra ultima tapa, prima di prendere il volo per Addis, e poi tornare a casa. Il tempo si è smaterializzato su questi altipiani magici. Al mattino andiamo a visitare il Parco settentrionale di steli, un altro sito etiope censito come patrimonio dell’umanità UNESCO. Si tratta degli obelischi dell’epoca axumita (I – IV sec.), in pietra basaltica, alti tra 20 e 33 m, a sezione quadrata, la cui superficie è suddivisa in diverse sezioni e decorata con dei simboli. La più alta, di 33 m, sembra fosse crollata al suolo durante la costruzione, mentre quella di maggiore altezza ancora in piedi è la Stele di Re Ezana, alta 24 m. Dal 1937 fino al 2008 la così detta “Stele di Axum” si trovava a Roma: fu restituita nel 2009, e la troviamo qui, sostenuta da tiranti in acciaio perché pesa oltre 150.000 kg. Si pensa che le steli siano state erette in corrispondenza alle tombe. Gli scavi che riusciamo a vedere da vicino e le successive ricerche, ancora in corso, saranno a confermare quest’ipotesi. In seguito visitiamo il museo, dove la maggior parte di noi ordina delle belle croci in pietra nera con il nome inciso con le lettere in alfabeto sillabico amhara. Segue la visita  alla piscina detta della regina di Saba, forse una riserva d’acqua axumita, poi un tukul con l’enorme “Pietra di re Ezana”, un importante documento inciso  in tre lingue: in sabeo, ge’ez e greco.  Qui ad Axum ci assediano i venditori di tutti i tipi. Alcuni vendono le pietre preziose, soprattutto opali, fossili e geodi, altri icone e croci, altri ancora le spezie, i foulard,  l’argento. Vicino al nostro ristorante troviamo un negozietto con delle cose carine e con buoni prezzi. Facciamo “affari di gruppo”: molti trovano le cose davvero deliziose: piccole icone, croci dipinte, “i retablo etiopi”, croci in argento, … Dopo il pranzo prosegui amo per visitare i resti di un grandioso palazzo di 3000 metri quadri. Tesfa racconta che si tratta del sito denominato “il palazzo della regina di Saba”, ma che l’attribuzione del sito al tempo della regina è tutto da confermare: per ora è una trovata dalle guide locali, non priva di un pizzico di verità. Infatti, le rovine di un palazzo databile al X sec. a. C. sono state trovate sotto i ruderi del palazzo di un re cristiano de V/VI sec, quello che si vede. Le prove non ci sono, anche perché si tratta dalle scoperte recentissime, di 2008. Nelle vicinanze si trova un altro Campo di steli della regina Gudit. Per concludere la giornata facciamo visita alla chiesa di Santa Maria di Sion, il luogo più sacro dell’Etiopia che custodisce secondo la credenza etiope l’Arca dell’Alleanza. Il primo edificio fu costruito nel 1665 da re Fasilidas sulle basi di una chiesa più antica (IV-VI sec), invece la nuova chiesa è recente, costruita dall’imperatore Haile Selassie. Visitiamo anche un ricco museo di arte sacra, con corone, oggetti liturgici, manoscritti antichi, dove non è possibile fare le foto. Infine si visita il recinto sacro della vecchia chiesa dove solo gli uomini possono entrare, mentre noi donne aspettiamo fuori… chiacchieriamo e facciamo foto con le donne etiopi. L’Arca con le Tavole della legge si trova davvero qui? L’Etiopia custodisce mille segreti ancora non rivelati. Alla fine rientriamo in albergo; durante la cena il ragazzo ci porta le nostre “croci di Axum” con i nomi incisi in amhara. Purtroppo, due nomi sono sbagliati …

xx novembre, mercoledì. Ci alziamo presto per prendere il volo per Addis Ababa. Stiamo aspettando che il ragazzo porti le croci con nomi sbagliati, e in quei 5 minuti un altro ragazzo riesce venderci dei sacchettini con la mirra: ne compriamo davvero tanti, così che tutto il pullman profuma.  Salutiamo nostro bravissimo autista e anche autista del pullmino: abbiamo raccolto un po’ di soldi in più per coprire le spese della riparazione del paraurti rotto per colpa dei nostri innumerevoli “extra”. Bravissimi, hanno fatto molto per noi, facendo arrivare noi e bagagli sempre alla destinazione, sodisfando tutti i nostri desideri di fermate e visite non in programma. Tesfa invece sarà con noi fino all’imbarco per Milano. Aspettiamo all’aeroporto e facciamo gli ultimi acquisti: sciarpe, qualche cartolina, qualche maglietta. Io finalmente trovo un bel abito ricamato tipico della regione di Tigray: lo compro e lo indosso subito. Una ragazza ci prepara il caffè e ci offre popcorn. Voliamo fino Addis con un bombardier, sempre a quota bassa ammirando di nuovo i magnifici paesaggi montuosi. Arrivati a destinazione ci aspettano due costerbus e il gruppo si divide. Prima andiamo a pranzo al ristorante del circolo sportivo Juventus, tenuto da una signora di origini italo-etiopi. Mangiamo ottimo cibo alla card e all’italiana… Facciamo le ultime visite: andiamo a prendere caffè per portarlo a casa e poi facciamo il giro del vicino “Merkato”, un grande mercato con le bancarelle. Per finire le visite in bellezza, Tesfa ci porta alla St. Georges gallery, un negozio di classe con mobili di antiquariato, dipinti antichi (e nuovi), gioielli etnici di buona fattura. E’ carissimo, ma vende oggetti di alto livello ed esposti bene. Dopo lunghe consultazioni con tutti L. “investe” in un bel quadro, R. e A. prendono dei bellissimi cuscini, io un monile. Dovevamo avere le stanze in day-use, ma solo in pochi riusciamo ad utilizzare questo servizio, pensato bene ed offertoci dal nostro corrispondente. C’è un matrimonio e non si può fare niente per ottenerle per tutti, oltre ad arrangiarsi e fare i turni. Devo fare complimenti a tutti quanti che hanno dimostrato di essere non turisti ma viaggiatori: non tutti i gruppi affrontano qualche inconveniente con spirito di adattamento, che è un requisito fondamentale quando si viaggia, necessario per non rovinarsi la vacanza, indispensabile per vedere e capire il mondo. Concludiamo il nostro tour con la cena di arrivederci, con spettacolo di danze tradizionali. E’ venuta a salutarci la corrispondente Helen, omaggiando un foulard alle signore e una ciotola in ceramica ai signori. Tutti siamo entusiasti della bravura delle ballerine e ballerini che si esibiscono. Finito tutto, prendiamo i nostri coasterbus e andiamo all’aeroporto. Salutiamo la nostra bravissima guida Tesfa, contenti di ciò che abbiamo visto e sentito, ringraziandolo per la sua disponibilità e cortesia.

E’ arrivato l’ultimissimo momento del nostro viaggio: superare vari controlli. Purtroppo ci riservano anche una brutta sorpresa per la coppia M.&M. La polizia sequestra la splendida ametista che hanno comperato, spiegando che la legge etiope vieta esportazione dei minerali, pietre e terra senza un permesso speciale del ministero. Provo ad intervenire: il risultato è quello che mi fanno vedere un stanzino pieno zeppo di pietre, fossili e sacchetti di terra sequestrati. La rabbia non serve, con la burocrazia puoi fare solo peggio se sei scortese. Infine siamo in volo, anche questo strapieno. L’aereo è nuovo, le hostes sono cortesi e ci danno subito da mangiare permettendoci di chiudere gli occhi almeno per un po’. La prima fermata è a Roma … ed è già giovedì.

xx novembre, giovedì. Siamo a casa, a Malpensa… cielo color grigiomilano. Valigie, saluti, promesse per il prossimo viaggio… Il pullman aspetta, alcuni vanno subito al lavoro, altri magari si godranno qualche ora di sonno. I giorni passati sembrano un sogno.